Il progetto Odiare non è uno sport studia il fenomeno dell’hate speech nello sport e interviene per contrastarlo. Dall’inizio del 2020, ha attivato una campagna di sensibilizzazione con il coinvolgimento di personalità dello sport. Nella seconda fase, i protagonisti sono i ragazzi, nelle scuole e nelle società sportive. Con l’arrivo dell’emergenza coronavirus, le modalità sono cambiate ma non gli obiettivi del progetto: far pensare giovani e adolescenti alle dinamiche dell’hate speech e fornire loro strumenti per difendersi.
Michela Mosconi è una delle formatrici in questo percorso. L’abbiamo intervistata per sapere di più su come sta andando il progetto.
Come sei entrata a far parte del progetto Odiare non è uno sport?
Sono entrata a far parte del progetto Odiare non è uno sport su invito di Claudio Pieri e Lorenza Pilloni (ISF), a seguito della bella esperienza progettuale che ci ha visti protagonisti l’anno scorso con il progetto VICTORI. Claudio e Lorenza mi hanno raccontato del progetto, del concetto di base, degli obiettivi e questo mi ha portato a decidere di dare un contributo, in quanto penso sia molto importante attraverso la formazione, l’informazione e la conoscenza prevenire fenomeni di disagio sociale quali hate speech e cyberbullismo, fenomeni intrinsecamente legati all’uso scorretto dello strumento tecnologico/multimediale. È infatti importante agire in chiave preventiva e questo la maggior parte delle volte risulta davvero efficace. È questa consapevolezza che mi ha convinto a partecipare: l’importanza sociale del progetto!
Con l’emergenza Covid-19 il progetto ha dovuto cambiare rotta?
Certamente con l’emergenza Covid-19 il progetto ha necessariamente dovuto cambiare rotta. Era infatti previsto che si svolgessero delle formazioni rivolte ai ragazzi delle scuole superiori e ai ragazzi praticanti sport in forma partecipata entrando proprio negli ambienti dove questi ragazzi vivono le loro esperienze. Tuttavia sono state elaborate delle strategie, a mio parere efficaci, per continuare l’intento di coinvolgimento. Sono stati così creati dei pacchetti formazione che si sono svolti attraverso piattaforma telematica e che hanno visto protagonisti insegnanti e ragazzi. Durante queste lezioni telematiche si sono susseguiti momenti di formazione frontale attraverso la presentazione di slides a materiali audiovisivi ai quali si sono affiancati momenti di confronto sia durante la video-lezione che in differita via mail. Ci auguriamo con la medesima modalità, almeno per ora, di coinvolgere altri ragazzi sia in ambito scolastico che sportivo. Chiaramente, per una serie di fattori intrinseci, è più facile coinvolgere i ragazzi attraverso questa modalità in ambito scolastico che in ambito sportivo, essendo i ragazzi, rispetto alla scuola, già familiarizzati con il mezzo delle video-lezioni.
Quali sono le maggiori difficoltà e le più grandi soddisfazioni che hai avuto finora in questo progetto?
Partiamo con le soddisfazioni: la soddisfazione maggiore è stata osservare i feedback positivi da parte dei ragazzi stessi sia in termini di ringraziamenti ma anche, ed è questa la cosa più rilevante, in termini di iniziativa personale. Infatti, ci sono stati dei ragazzi che mi hanno contattata al termine delle lezioni per dirmi qualcosa di più di sé o della propria storia o per aggiungere qualcosa rispetto a qualche osservazione nata durante le video-lezioni. Rispetto alle difficoltà, una delle difficoltà maggiori è stata l’elaborazione di strategie e modalità per coinvolgere attivamente i ragazzi nonostante il vincolo del computer. Infatti, la mia idea iniziale sarebbe stata, in contesto dal vivo, limitare al minimo la frontalità della lezione utilizzando modalità partecipative e role playing anche sfruttando la posizione circolare delle persone nella stanza. Nonostante questo, anche grazie all’utilizzo di storie simulate che hanno stimolato i ragazzi alla riflessione e alla elaborazione di risposte personali, siamo riusciti comunque, a superare positivamente la barriera.
Cosa ti auguri per il futuro del progetto? Dove pensi che stia avendo più impatto?
Mi auguro con la fine dell’estate di poter entrare negli ambienti che caratterizzano la vita dei ragazzi dal vivo e di riuscire a coinvolgere primariamente il contesto sportivo. Sarebbe inoltre interessante elaborare dei protocolli per la formazione ai formatori, al fine di tentare di generare una sorta di mentalità condivisa, un patrimonio culturale imprenscindibile del formatore che con i ragazzi si rapporta. Penso che relazione con ragazzi debba essere impregnata di valori e tesa allo sviluppo di una mentalità critica che è poi lo strumento principale per combattere fenomeni quali l’hate speech.
Promosso dall’ong CVCS in partenariato con 7 ong italiane (ADP, CeLIM, CISV, COMI, COPE, LVIA, Progetto Mondo MLAL), la federazione sportiva CSEN, le agenzie formative FormaAzione, SIT e SAA-School of management, Informatici senza Frontiere e Tele Radio City, il progetto è finanziato dall’Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo (AICS). Per saperne di più: www.odiarenoneunosport.it