Home > News > Passato, presente e futuro di OpenHospital: intervista ad Alessandro Domanico

Open Hospital è nato insieme ad Informatici Senza Frontiere: nel 2005, a seguito dell’incontro tra i primi fondatori di ISF e il medico Pietro Marsiaj, nacque l’idea di sviluppare un software libero e accessibile che potesse migliorare le condizioni dell’ospedale Saint Luke ad Angal (Uganda).

Da quel momento, Open Hospital è cresciuto, arrivando ad essere installato in moltissimi ospedali in Africa, Asia ed Europa. Intorno ad esso, si è sviluppata una comunità di sviluppatori e utilizzatori che lavorano al costante miglioramento del software. Abbiamo fatto un punto della situazione con Alessandro Domanico, Product Manager di Open Hospital e Project Manager per Informatici Senza Frontiere.

Alessandro, quando è cominciata l’esperienza in ISF e come?

A: La mia esperienza con ISF è nata durante il mio anno di Servizio Civile Nazionale all’estero (2007-2008), sotto il Ministero degli Affari Esteri e con la ONG IBO Italia (Ferrara) per l’informatizzazione di un ospedale in Kenya. Da lì ho cercato software già esistenti ed ho trovato OpenHospital. Solo dopo ho scoperto facesse capo a Informatici Senza Frontiere, con la quale abbiamo iniziato subito dei rapporti di collaborazione per lo sviluppo, installazione e manutenzione dell’applicativo. Ora sono Product Manager del software e Project Manager per ISF.

Alessandro Domanico con Joseph Balikuddembe, collaboratore di Open Hospital presso gli ospedali ugandesi di Angal e Gulu.

Che cosa state facendo con Open Hospital in questo momento e dove?

OpenHospital ha una sua roadmap pubblica che prevede una/due nuove versioni all’anno ed una serie di release minori intermedie. In parallelo, portiamo avanti diversi progetti, ovvero installazione e personalizzazione, in diverse aree geografiche. OpenHospital è attualmente installato in 17 paesi diversi per un totale di 27 strutture sanitarie di cui siamo a conoscenza, delle quali 13 curate direttamente da ISF. In particolare a Wolisso (Ethiopia) stiamo estendendo OH con la cartella del neonato per la terapia intensiva (progetto NICU, con AICS/CUAMM), il monitoraggio delle gravidanze attraverso visite pre-natali e post-partum e interfacciando l’applicativo con il partogramma elettronico (prog. Merck/CUAMM) e intersecando la provenienza dei pazienti con i dati GIS per la visualizzazione e monitoraggio nella diffusione delle “priority diseases” del WHO (prog. Survethi, con PAT/AICS/CUAMM). In altri casi (Ethiopia, Madagascar, Congo, Camerun, Somaliland) stiamo studiando l’evoluzione del software per soddisfare le esigenze primarie dei posti più remoti. In generale stiamo aiutando le strutture sanitarie a raccogliere e analizzare i dati come supporto alla gestione ed un migliore servizio ai pazienti.

Quali sono le difficoltà maggiori che la missione affronta?

Le difficoltà maggiore è nella definizione delle esigenze e nella scarsità di tempo per sviluppare: spesso dobbiamo fare tesoro di quanto appreso durante la missione per poi trovare in poco tempo le soluzioni migliori per i beneficiari, che non sono esperti di computer ma hanno esigenze reali, anche molto critiche.

E le soddisfazioni più grandi che vi offre?

La soddisfazione più grande è trasmettere conoscenza e vedere che questa poi progredisce autonomamente: i nostri equivalenti informatici locali, ovvero i ragazzi che formiamo, lavorano insieme a noi ed insieme troviamo le soluzioni migliori, insegnando ed imparando da loro a nostra volta, colleghi per uno scopo comune; l’informatica mette poi in comunicazione dipartimenti e funzioni diverse, il che ci fa percepire ancora di più il valore trasversale del nostro lavoro, che non sarebbe possibile senza il coinvolgimento di tutte le parti coinvolte ed è quello che di più viene apprezzato.

Un momento della formazione presso l’ospedale di Matiri (Kenya), dove Alessandro ha svolto il Servizio Civile.

Perché importante continuare a sostenere il progetto Open Hospital? Come può ancora crescere il software?

Al momento ci sono centinaia di migliaia di strutture sanitarie che attendono un software semplice e gratuito come OpenHospital, che non hanno speranza, neanche nella prossima decade, di vedere cambiamenti sostanziali intorno, se non la speranza di fare sempre meglio con quello che si ha. Anche sostenere una missione ISF di 2 settimane (6’000€) potrebbe essere una donazione importante per OpenHospital, perché non parliamo solo di un software, ma dell’abilitazione di una struttura, del suo personale, delle sue risorse ad un’evoluzione importante e che non avverrebbe altrimenti. Sapere che dall’altra parte c’è chi tende una mano non solo coi farmaci, non solo con i soldi, ma anche con la conoscenza, è molto importante per i beneficiari e conferisce ai nostri progetti caratteristiche di inclusione sociale e non assistenzialistiche. Ora stiamo concentrando i nostri sforzi (attraverso lavoro volontario) per rendere OH ancora più semplice da installare e utilizzare anche da smartphone e tablet (sempre più diffusi in Africa) e quindi con una particolare attenzione alla privacy e alla sicurezza del dato, anche e a cominciare da questi contesti.

Nicola Punzi nel gruppo coinvolto in parte della missione a Gambela (Etiopia).

Recentemente, Alessandro Domanico ha partecipato anche ad una missione a Wolisso (Etiopia), insieme a Nicola Punzi, socio ISF, che racconta: “Ho iniziato a collaborare con ISF solo 2 anni fa, subito dopo il mio trasferimento in Senegal. Tramite i social sono venuto a conoscenza dell’esistenza di ISF”. Nicola aggiunge: “In pratica sono un semplice programmatore che mai avrebbe pensato di finire a vivere in Africa e fare missioni a giro per un continente così grande e variegato con lo scopo contribuire allo sviluppo di una piattaforma Open Source che nel suo piccolo riesce veramente a dare un grande supporto.”

Per conoscere meglio il mondo di Open Hospital, puoi visitare il sito e contribuire attraverso competenze o donazioni allo sviluppo del software.